LECTIO DIVINA SUL VANGELO domenicale - 23
2 aprile 2017 – 5ª domenica di Quaresima - Ciclo liturgico: anno A
Io sono la risurrezione e la vita, dice il Signore,
chi crede in me non morirà in eterno.
Giovanni 11,1-45 (Ez 37, 12-14 - Sal 129 - Rm 8,8-11)
Eterno Padre, la tua gloria è l’uomo vivente; tu che hai manifestato la tua compassione nel pianto di Gesù per l’amico Lazzaro, guarda oggi l’afflizione della Chiesa che piange e prega per i suoi figli morti a causa del peccato, e con la forza del tuo Spirito richiamali alla vita nuova.
Spunti per la riflessione
Vivere da vivi
La sfida, alla fine della fiera, è fra la morte e la vita.
Fra vivere da vivi o da morti. Fra il permettere che la vita contagi e si allarghi fino a superare ogni morte o, viceversa, permettere alla morte di contagiare ogni aspetto della vita.
Il deserto, il Tabor, la sete, la cecità… tutto ci porta all’essenziale, alla scelta.
Scegliere o meno di vivere.
Non vivacchiare, come siamo abituati a fare.
Un po’ travolti dalle cose, dalle emozioni, dai limiti, dai giudizi, dai sensi di colpa.
Come la samaritana, appunto. O il cieco nato.
Ma prendere in mano la vita, lasciare che dilaghi, scoprire che l’anima, che spero ci abbia raggiunti in questo ultimo mese, ci permetta di vedere le cose in maniera diversa.
Tipo che la morte di un amico, del migliore amico, è l’occasione finale, per Gesù, di mostrare l’amore che ha per Lazzaro. E per le sue sorelle. E per noi.
E che questo amore lo spingerà a fare ciò che nessuno aveva anche solo immaginato si potesse fare: donare la vita per qualcun altro.
La vita di Lazzaro segna la morte di Gesù.
Il tuo amico
Gesù si è rifugiato ad Efraim.
Tira una bruttissima aria, per lui, a Gerusalemme. Giovanni struttura il suo vangelo come un gigantesco, infinito processo all’opera di Gesù e Gesù, lo sa, è già stato condannato a morte in contumacia.
Lazzaro, il suo amico Lazzaro, sta male, tanto.
Gesù sa che andare a Betania, a quel punto, equivale ad un vero suicidio.
Aspetta qualche giorno e parte.
Tutto a Betania, la casa del povero, odora di morte.
La fine prematura di una persona giovane e stimata, ancora oggi, ci getta nel panico totale. Nonostante la fede, nonostante tutto.
È Marta ad uscire per prima. È lei che agisce in casa, lo sappiamo bene.
Le sue parole sono un rimprovero sgomento.
Se tu fossi stato qui.
No Marta, non è vero. Se anche Gesù fosse stato presente non avrebbe impedito a Lazzaro di morire.
Anche se Gesù è presente nella nostra vita, anche se siamo suoi amici, se egli ci è amico, non possiamo evitare la morte e il dolore e le prove che egli per primo non ha rifiutato.
È normale, istintivo pensare che Gesù ci protegga, ci salvi. E lo fa, ma mai come pensavamo.
Mai come vorremmo.
Gesù invita Marta, e noi, a credere. A credere in una resurrezione e in una vita che avvolgono e riempiono questa nostra vita biologica, terrena, che le danno misura e senso, orizzonte e gioia.
Si fida, Marta. Anche se stenta a capire, anche se non vede come tutto ciò possa accadere.
Sa, come sappiamo noi, che egli è l’acqua di sorgente, la luce. Ma c’è ancora un passo incredibile da affrontare.
Ti chiama
Il maestro è qui e ti chiama.
Così dice Marta a Maria. Così dice Marta a me, oggi.
Maria si alza e, con lei, tutti i famigliari e gli amici. Si ripete la scena, il dolce rimprovero.
Gesù sta per ribattere, come con la sorella. Ma vede le lacrime. Tante. Troppo.
E accade.
Scoppia a piangere.
Come se, per la prima volta, Dio si rendesse conto di quanto dolore possa vivere l’uomo.
Di quanto possiamo smarrirci e perderci, deboli e sciocchi che siamo.
Come se Dio, per la prima volta, vedesse quanto dolore ci procura il dolore, quanto smarrimento, quanto disorientamento.
Non ci sono parole per spiegare o per consolare. Solo partecipazione. Chiede dov’è Lazzaro.
Vieni a vedere, gli dicono.
Tre anni prima, ai due discepoli del Battista che si erano messi sui suoi passi, aveva detto le stesse parole: venite e vedrete.
Loro videro dov’era Dio. Dio, ora, va a vedere dov’è la morte.
E sceglie.
Vieni fuori
Lazzaro, vieni fuori!
Sa bene che quel gesto segnerà la sua fine. Sa bene che alcuni si prenderanno la briga per andare a denunciarlo (per cosa, violazione del regolamento cimiteriale?). Sa bene che le parole non sono più sufficienti.
La sua vita per la vita di Lazzaro.
Ora che ha visto quanto dolore provoca la morte gli resta un ultimo passaggio per poter essere uomo in tutto. Morire.
È piena di gioia e di stupore questa resurrezione.
È pieno di mestizia il cuore del Maestro.
Sì, ora è pronto. Andrà fino in fondo.
Fino all’inimmaginabile. La morte di Dio.
Lazzaro, noi, io siamo vivi perché Gesù ha donato la sua vita.
E ci invita, ancora e ancora, a vivere da vivi.
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L’Autore
Paolo Curtaz
Cammino quaresimale
1ª domenica Mt 4,1-11 le tentazioni io sono la salvezza
2ª domenica Mt 17,1-9 la Trasfigurazione io sono la Parola
3ª domenica Gv 4,5-42 la Samaritana io sono l’acqua viva
4ª domenica Gv 9,1-41 il cieco nato io sono la luce del mondo
5ª domenica Gv 11,1-45 Lazzaro io sono la resurrezione e la vita
Esegesi biblica
La risurrezione di Lazzaro (11, 1-45)
Nel capitolo quarto abbiamo incontrato il segno dell’ “acqua” (la samaritana); nel capitolo nono, il segno della “luce” (il cieco); in questo capitolo undicesimo, un altro segno, “la vita”, che sintetizza tutto il cammino del cristiano, che è un continuo esodo dalla morte alla vita.
Questo racconto di Giovanni ha un modo di procedere simile a un dramma che tiene il lettore sospeso, per il continuo susseguirsi di conseguenze.
La drammatizzazione dell’episodio è al servizio di un insegnamento profondo e articolato. Ad una introduzione (vv. 1-16), seguono “due scene”: la prima narra il dialogo di Gesù con Marta (vv. 17-27) e con Maria (vv. 28-37), sorelle di Lazzaro; la seconda (vv. 38-44) si sofferma su Gesù che dinanzi alla tomba di Lazzaro comanda: “Lazzaro, vieni fuori!”.
Infine la “conclusione” del racconto (vv. 45-54) con il Sinedrio che decide la morte di Gesù: Lazzaro è vivo, Gesù morirà.
a) “Questa malattia non è per la morte”. Gesù aspetta senza preoccuparsi che l’amico Lazzaro sia morto (vv. 6.11). Egli attende che il ciclo della morte si compia in Lazzaro, affinché l’iniziativa del Dio della vita si manifesti in tutto il suo spessore.
Ma, soprattutto, Gesù vuol preparare i discepoli a comprendere il miracolo come un “segno” (cfr. Gv 2,11), in cui possano scoprire la gloria del Padre e di Gesù (v. 4b), affinché i discepoli credano, e nella fede incontrino la vita.
b) Il dialogo tra Gesù e Marta. Diversamente da quanto avviene nell’episodio della cena narrato da Lc 10, 38-42, qui è Marta, e non Maria, ad avere il ruolo principale e a comprendere meglio ciò che sta per accadere. Marta crede che “qualunque cosa Gesù chiederà a Dio, Dio gliela concederà” (v. 22). Da questo inizio di fede, passando attraverso la professione sulla “risurrezione nell’ultimo giorno” (v. 24), Marta è condotta da Gesù di fronte a un nuovo appuntamento della fede: viene da lui provocata ad una fede più grande nella sua persona (vv. 25-26). Si tratta di credere in lui già ora, al presente e non soltanto al futuro: “Gesù è la risurrezione e la vita” (v. 25).
c) “Credi tu questo?”. La risurrezione di Lazzaro non è soltanto un segno della risurrezione generale, nell’ultimo giorno, ma anche il segno concreto della potenza vivificante di colui che già ora ha “parole di vita eterna” (Gv 6,68) perché “come il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso” (Gv 5,26).
Gesù offre a Marta la più grande rivelazione cristologia che si possa immaginare quando, con quel “Io sono la risurrezione e la vita” (v. 25), pone se stesso sullo stesso piano dell’Io sono di Dio nella teofania a Mosè: “Io sono colui che sono” (Es 3,14).
La voce imperativa di Gesù a Lazzaro, cadavere da quattro giorni (v. 43), è la voce di colui che già ora rivolge ai suoi la parola di Dio, chiamandoli alla vita. Perciò i morti “dormono soltanto” (v. 11), “vivono anche se muoiono” (v. 25), e “morire” non è più morte (v. 26). Gesù chiama alla vita non soltanto Lazzaro, ma tutti noi perché mediante la fede veniamo alla vera vita: “Chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna…” (5, 24).
Crediamo, noi questo? Per bocca di Marta, la comunità di Giovanni confessa la sua fede: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo” (v. 27).